Quando invece nonostante tutto la nostra debolezza e lo sforzo che dobbiamo compiere, proseguiamo la nostra opera, spesso osserviamo che pur andando lentamente e perdendo tempo avanziamo più di altri che vanno a forza di vele e di remi... ed è allora che si è veramente consci di se stessi; quando si va alla pari con gli altri, ed anzi si sorpassano.
Avrei voglia, allora, di sbattere la testa nel muro. Non deve mancare un E, né una congiunzione, ed egli è nemico mortale di tutte le inversioni che talvolta mi sfuggono; quando il pericolo non è modulato sopra un ritmo tradizionale, egli non capisce niente: è una sofferenza avere a che fare con simili uomini.
La fiducia del conte C. è la sola cosa che mi ricompensi. Ultimamente egli mi diceva, con tutta franchezza, com'è scontento della lentezza e della minuziosità del mio ambasciatore. Queste persone rendono tutto più difficile per loro stessi e per gli altri: bisogna rassegnarvisi come un viaggiatore che deve valicare una montagna: se il monte non ci fosse, la via sarebbe più corta e più comoda; ma poiché c'è, bisogna oltrepassarlo!
Il mio vecchio si accorge della preferenza che il Conte ha per me; questo gli dispiace e cerca tutte le occasioni per dir male del conte in mia presenza; naturalmente io ribatto, e la discussione si fa aspra. Ieri egli mi mise fuori dai gangheri dicendo: «Il Conte s'intende benissimo degli affari di questo mondo; lavora con facilità e scrive bene, ma manca di conoscenze solide come tutti i begli spiriti».
E a questo punto egli fece un gesto come per dire: senti la stoccata? Ma non produsse su di me alcun effetto; solo disprezzai l'uomo che poteva pensare e agire così. Resistetti e lottai abbastanza vivacemente. Dissi che il Conte era un uomo degno di stima per il suo carattere e per la sua cultura. Non ho mai visto nessuno, dissi, che sia riuscito a svolgere il suo spirito, a estenderlo su innumerevoli argomenti, e a conservare nello stesso tempo una tale attività per la vita pratica. Ma per il suo cervello questo era arabo, e io mi allontanai per non prendere una bile sentendolo sragionare ancor di più. Di tutto questo è vostra la colpa, di voi tutti che mi avete messo sotto il giogo e mi avete decantato l'attività. Attività! Se non fa più di me colui che pianta patate e che va a vendere grano in città, voglio ancora lavorare dieci anni sulla galera dove sono ora incatenato. E quale miseria dissimulata, quale noia regna fra il popolo sciocco che si vede qui accalcato! Quale mania di primeggiare per cui osservano, spiano il modo di guadagnare un passo gli uni sugli altri! frivole, miserabili passioni che si mostrano a nudo. C'è una donna, per esempio, che parla a tutti della sua nobiltà e delle sue terre, in modo che ogni forestiero penserà: è una pazza a cui un po' di nobiltà e la fama delle sue terre hanno fatto girare la testa! Ma c'è di peggio: questa donna è la figlia di uno scritturale del vicinato! Io non posso concepire come l'umanità abbia tanto poco senno da prostituirsi in questo modo!
Invece io osservo ogni giorno che si ha torto di giudicare gli altri da se stessi. E poiché ho tanto da fare nel pensare a me stesso e questo mio cuore è così turbinoso, lascio volentieri che gli altri seguano la loro strada purché mi lascino seguire la mia.
Quello che più mi importuna sono le ineluttabili distinzioni sociali. So benissimo quanto è necessaria la differenza di classe, e quanti vantaggi ne ritraggo io stesso: ma vorrei che non venisse a sbarrarmi la strada proprio quando potrei godere quaggiù un po' di gioia, un'illusione di felicità. Ho conosciuto recentemente, alla passeggiata, la signorina B., una graziosa creatura che, in questo mondo artefatto, conserva molta naturalezza. Conversammo con gran piacere reciproco, e quando ci lasciammo le domandai il permesso di recarmi a farle visita. Me lo concesse con tanta gentilezza che a stento potei aspettare il momento conveniente per andare da lei. Lei non è di qui, e abita con una zia. La fisionomia della vecchia non mi piacque. Ebbi per lei molti riguardi, le rivolsi spesso la parola, e in meno di mezz'ora riuscii a capire ciò che la signorina stessa mi confermò poi: cioè che la sua cara zia manca di tutto nella vecchiaia; che non ha mezzi, non ha spirito, e non possiede che la schiera dei suoi antenati, non ha altro rifugio oltre il RANGO del quale si gloria, altro godimento oltre quello di guardare dalla finestra i borghesi che passano. In gioventù deve essere stata bella, e ha consumato la sua vita; prima ha tormentato molti poveri giovani con i suoi capricci; poi nei suoi anni maturi si è piegata all'ubbidienza verso un vecchio ufficiale, che a prezzo di un discreto matrimonio passò con lei l'età del bronzo, e morì. Ora è sola nell'età del ferro, e nessuno la guarderebbe, se la nipote non fosse così graziosa.
Pazzi sono coloro i quali non vedono che il posto non significa niente, e che colui che ha il primo posto raramente ha l'ufficio più importante! Quanti re sono governati dai loro ministri, quanti ministri dai segretari. Qual è dunque il primo? secondo me colui che domina gli altri, che ha sufficiente potere o astuzia per far servire le loro passioni all'esecuzione dei suoi piani.
Oh se fossi seduto ai vostri piedi, nella piccola stanza tranquilla, e i nostri cari piccini giocassero intorno a me, e io potessi, quando il loro chiasso vi dà noia, raccogliermeli intorno tranquilli e avvincerli con una storia terribile!
Il sole tramonta superbamente sulle valli risplendenti di neve, la tempesta è passata e io... devo rientrare nella mia gabbia! Addio! Alberto è con voi? E come...? Dio mi perdoni questa domanda!
Io ti ringrazio, Alberto, di avermi ingannato; aspettavo di apprendere quando avrebbe avuto luogo il vostro matrimonio, e avevo deciso che quel giorno avrei solennemente staccato dalla parete la SILHOUETTE di Carlotta, e l'avrei sepolta fra le altre carte. Ora voi siete sposi, e la sua immagine è sempre lì. Che vi resti! perché non dovrebbe rimanervi? Io so che sono vicino a voi, che, senza farti torto, sono nel cuore di Carlotta; in esso occupo il secondo posto, e voglio e devo conservarlo. Diventerei pazzo se lei potesse dimenticare. Alberto, c'è un inferno in questo pensiero. Addio, Alberto! Addio, angelo del cielo! Carlotta, addio!
Il conte C. mi vuol bene e mi tiene in conto, questo ormai è risaputo e te l'ho detto cento volte. Ieri ero a pranzo da lui, ed era appunto il giorno in cui una nobile società di signore e gentiluomini si riunisce in casa sua per trascorrere la serata; non ci avevo affatto pensato e non mi era passato per la mente, che noi subalterni non siamo al nostro posto in queste riunioni. Dunque, pranzo dal Conte; dopo pranzo passeggiamo in lungo e in largo nella gran sala, io parlo con lui e col colonnello B... che era sopraggiunto, ed arriva così l'ora della riunione. Dio mi è testimone che non pensavo a nulla. Arriva la nobilissima signora S. con il suo egregio consorte e con quell'ochetta di figlia dal seno appiattito e dal grazioso abbigliamento; essi prendono EN PASSANT un'aria sdegnosa e, poiché io ho per questa gente una cordiale antipatia, volevo congedarmi e aspettavo soltanto che il Conte fosse libero dalle loro chiacchiere, quando la mia signorina B. entrò. Poiché il cuore mi batte sempre un poco quando la vedo, rimasi in piedi dietro la sua seggiola, e osservai soltanto dopo qualche tempo che lei mi parlava con meno franchezza del solito, ed era un po' confusa. Rimasi sorpreso.
E' anche lei simile a tutta questa gente, pensavo, ed ero urtato, e volevo andarmene, pure restavo perché avrei voluto scusarla, e non potevo pensar male di lei, e speravo ancora che mi avrebbe rivolto qualche parola gentile... e... che vidi? Intanto la compagnia fu al completo. Il barone F... con tutto il guardaroba del tempo in cui fu incoronato l'aulico consigliere R..., che qui si faceva annunciare in qualità di signor R. con la sua sorda signora; e non bisogna dimenticare il signor J. mal vestito, che colma le lacune del suo antico gotico guardaroba con dei moderni stracci: insomma c'era una folla, e io parlai con alcune persone di mia conoscenza, tutte molto laconiche, non pensavo e non badavo che alla mia signorina B., e non avevo osservato che in fondo alla sala le donne si parlavano all'orecchio, che fra gli uomini avveniva qualche cosa, che la signora S. parlava col Conte (tutto questo me lo ha poi raccontato la signorina B.); infine il Conte venne da me, e mi trascinò nel vano di una finestra. Voi conoscete, mi disse, i nostri strani costumi, vedo che la società non è contenta di vedervi qui; io non vorrei per niente al mondo... Io lo interruppi: Eccellenza, vi faccio mille scuse; avrei dovuto pensarci prima, e so che voi mi perdonerete questa assurdità; avrei già voluto prender congedo; un cattivo genio mi ha trattenuto, gli dissi sorridendo, mentre mi inchinavo. Il Conte mi strinse le mani con un'espressione che rivelava tutto il suo animo. Silenziosamente mi allontanai dalla compagnia, mi misi in una carriola e mi feci condurre a M. per veder tramontare il sole dalla collina, e leggere in Omero quel mirabile canto che narra come Ulisse fu ospitato dal guardiano dei porci: esso calzava a pennello!
La sera ritornai all'ora di pranzo; c'erano ancora pochi ospiti nella sala: giocavano a dadi in un angolo, ed avevano rialzato la tovaglia. Giunge il signor Adelin, posa il cappello, mi guarda, e mi dice piano: Hai avuto delle noie? - Io? domandai. - Ma sì, il Conte ti ha fatto abbandonare la sua società. - Vada al diavolo, esclamai, sono stato felice di respirare aria libera. - E' bene, disse lui, che tu prenda la cosa leggermente; mi dispiace soltanto perché ormai se ne parla dappertutto. -
Allora finalmente cominciai ad essere annoiato sul serio. Tutti quelli che venivano a tavola mi guardavano, io pensavo che era per quello, e il sangue mi andava alla testa.
Oggi ancora, dovunque io vado mi si compiange; sento che gli invidiosi trionfano e dicono che si vede quel che succede ai presuntuosi che si prevalgono di un po' di spirito e si credono autorizzati a passar sopra a tutte le convenienze... Ci sarebbe da piantarsi un coltello nel cuore. Si vanti infatti finché si vuole l'indipendenza di carattere: vorrei proprio vedere chi potrebbe sopportare che dei facchini parlassero di lui quando possono trovare un pretesto: quando le chiacchiere sono senza base, allora è più facile tollerarle!
- O, Werther, mi ha detto con voce commossa, come poteste interpretare male il mio turbamento, voi che conoscete il mio cuore? Che cosa non ho sofferto per voi dal momento in cui sono entrata nella sala! Prevedevo ogni cosa, e cento volte fui sul punto di parlarvi. Sapevo che le signore S. e T. si sarebbero allontanate coi loro mariti piuttosto che restare in vostra compagnia: sapevo che il Conte non poteva rompere con loro... e ora tutto questo chiasso...
- Come, signorina, dissi, nascondendo la mia angoscia mentre tutto quello che mi aveva detto Adelin l'altro giorno mi correva in quel momento nelle vene come acqua bollente... - Che cosa mi siete già costato! - aggiunse la dolce creatura mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Io non ero più padrone di me stesso, e stavo per gettarmi ai suoi piedi.
- Spiegatevi - le dissi. Le lacrime le rigarono le guance; ero fuori di me. Lei asciugò i suoi pianti, senza cercare di nasconderli. - Voi conoscete mia zia, cominciò; lei era presente alla scena, e potete immaginare con quali occhi l'ha vista. Werther, ieri sera e stamane ho dovuto ascoltare una predica sulla mia relazione con voi: ho dovuto sentirvi abbassare, demolire, senza potere, senza osare difendervi che a metà.-
Ogni parola che lei pronunciava mi penetrava nel cuore come una spada. Lei non sentiva come sarebbe stato più caritatevole di tacermi tutto questo e continuò a parlare di tutte le chiacchiere che si sarebbero fatte e di quale specie di persone avrebbe trionfato. E mi disse che si sarebbe goduto di veder punito il mio orgoglio e il mio disprezzo per gli altri che mi si rimprovera da tanto tempo. Sentir da lei tutto questo, Guglielmo, e con l'accento della più viva simpatia. Ero annientato, e mi sento ancora ribollire il cuore! Avrei voluto che qualcuno osasse parlarmi di fronte per poterlo trapassare con la mia spada; starei meglio se vedessi del sangue! E cento volte ho preso in mano un coltello nel desiderio di dare aria al mio cuore oppresso. Si parla di una nobile razza di cavalli i quali quando sono troppo accaldati e affaticati si spezzano istintivamente una vena, per respirare più liberamente. Spesso io vorrei aprirmi una vena che mi desse l'eterna libertà.
Mi fermai sotto il tiglio che, quando ero bimbo, era stato méta e confine delle mie passeggiate. Come tutto era mutato! Allora, in una felice ignoranza io aspiravo a slanciarmi nel mondo ignoto, dove credevo di trovare per il mio cuore un tal pascolo e un tal godimento, da poter soddisfare e colmare il mio ardente, nostalgico desiderio. Ora io ritorno dal lontano mondo... ahimé, amico mio, con quante speranze deluse, con quanti piani distrutti! Ecco sorgere dinanzi a me i monti che mille volte erano stati méta dei miei desideri. Potevo restare delle ore seduto aspirando a valicare le cime, perdendomi con la fantasia nelle valli e nelle foreste che apparivano al mio sguardo in una dolce luce crepuscolare; e quando all'ora fissata dovevo ritornarmene, con quale rincrescimento abbandonavo il mio posto favorito! Mi avvicinai alla città; e salutai amichevolmente le antiche casette a me note; le nuove mi diedero noia, come tutti i cambiamenti che erano stati fatti. Varcai la porta della mia città e mi orientai subito e completamente. Ma non voglio entrare in particolari; per me erano pieni di fascino, ma diventerebbero monotoni nella narrazione. Avevo deciso di prendere alloggio nella piazza, vicino alla nostra antica casa. Osservai passando che la scuola dove una buona vecchia rinchiudeva e ammucchiava noi ragazzi, era stata trasformata in una bottega di vendita al minuto; ricordai allora l'irrequietezza, le lacrime, lo smarrimento, l'angoscia; tutto ciò che avevo sopportato in quel buco. Non potevo fare un passo senza trovare qualcosa di notevole. Un pellegrino in Terra Santa non trova certo tanti luoghi consacrati da ricordi religiosi, e difficilmente la sua anima può esser così piena di profonda commozione. Ancora un esempio, fra mille: scesi lungo il fiume fino a una certa fattoria: quella via mi era consueta un tempo, ed era quello il luogo in cui noi ragazzi ci esercitavamo a chi faceva più volte rimbalzare nell'acqua le pietre piatte: ebbi vivo il ricordo di quando mi fermavo talvolta a contemplare il fiume, a seguirne il corso con meravigliosi presagi, a immaginare strani paesi per i quali esso sarebbe passato; ben presto la mia fantasia trovava i suoi confini, pure io mi sentivo trascinato lontano, sempre più lontano, finché mi perdevo nella contemplazione di una vaga lontananza. Così, amico mio, erano gli antichi nostri padri: rinserrati in angusti confini, eppure felici! così infantili erano il loro sentimento e la loro poesia. Quando Ulisse parla del mare immenso, della terra sconfinata, egli è umano, vero, profondo, affascinante e misterioso. Che m'importa di poter ripetere ora con ogni scolaretto che la terra è rotonda? Poche zolle sono sufficienti all'uomo per vivere e godere, ancor meno per riposarvi di sotto.
Mi trovo ora nella casa di caccia del principe; ed è molto piacevole vivere con lui che è sincero e semplice: è circondato da strani uomini che non riesco a comprendere. Non sembrano birbanti, eppure non hanno l'aspetto di persone perbene: talvolta mi sembrano degni di rispetto, eppure non posso confidarmi con loro. Una cosa che pure mi dispiace è che il principe parla spesso di cose che conosce solo attraverso letture o conversazioni, e ne parla sempre dal punto di vista sotto il quale gli altri gliele hanno presentate.
Inoltre egli apprezza la mia intelligenza e i miei talenti più del mio cuore, la sola cosa di cui sono orgoglioso, che è sorgente di ogni forza, di ogni gioia, di ogni dolore. Tutti possono sapere quello che io so... ma il mio cuore, lo possiedo io solo.
E, devo dirlo? perché no, Guglielmo? Lei sarebbe stata più felice con me che con lui: egli non è l'uomo che possa colmare i desideri del suo cuore. Un difetto di sensibilità, un difetto... chiamalo come vuoi... ma io non vedo il suo cuore battere all'unisono con quello di lei a qualche passaggio di un libro amato durante il quale il mio cuore e quello di Carlotta si sarebbero incontrati; e in cento altri casi quando ci avviene di esprimere i nostri sentimenti sulle azioni di altri. Caro Guglielmo! Invero egli l'ama con tutta l'anima, e che cosa non merita un simile amore!
Un uomo insopportabile è venuto ad interrompermi: le mie lacrime si sono disseccate; io mi sono distratto. Addio.
Non potei dir nulla; regalai qualcosa al bambino, e lei mi pregò di accettare qualche mela, ciò che io feci, lasciando quel luogo pieno di tristi ricordi.
Quando esco dalla porta di città, e percorro la via per la quale andai la prima volta a prendere Carlotta per condurla al ballo come tutto mi sembra mutato! Tutto, tutto è finito! Nessuna traccia di quel mondo svanito, nessun battito di cuore che risponda ai miei sentimenti passati. Sono come un fantasma che ritornando, vedesse arso e distrutto il castello che un tempo, egli, principe fiorente, aveva fabbricato ornandolo di ogni splendore, e che morendo aveva lasciato, pieno di speranze, al diletto figlio.
Il giovane rispose alle mie prime domande con una cupa tristezza nella quale mi parve di riscontrare un po' di confusione, ma poi, come se ad un tratto avesse riconosciuto se stesso e me, confessò le sue colpe e lamentò le sue sventure. Se potessi, amico mio, ripeterti tutte le sue parole! egli confessava e raccontava, provando a questo ricordo soddisfazione e gioia, che la passione per la sua signora era in lui aumentata giorno per giorno; che infine egli non sapeva più che cosa fare né, per usare la sua espressione, dove battere la testa. Non poteva né bere, né mangiare, né dormire; aveva un nodo alla gola, faceva quel che non avrebbe dovuto, dimenticava quello che gli era stato ordinato, era come perseguitato da un cattivo spirito; finché un giorno sapendo che lei si trovava in una camera al piano superiore, l'aveva seguita, o meglio si era sentito attratto verso di lei; poiché lei non cedeva alle sue preghiere aveva voluto prenderla con la forza; non sapeva che cosa era avvenuto in lui e giurava dinanzi a Dio che le sue intenzioni verso di lei erano sempre state pure, che il suo desiderio era quello di sposarla e di passarle la vita accanto. Dopo aver così parlato per qualche tempo, esitò come qualcuno che ha ancora qualcosa da dire e non osa. Mi confessò infine timidamente le piccole familiarità che lei gli aveva promesso, i favori che gli aveva concesso... E s'interruppe due o tre volte per dire e ripetere con le più vive proteste che non diceva questo per metterla in cattiva luce, che egli l'amava e l'apprezzava come prima, che queste cose non gli erano mai uscite di bocca, e che me le diceva solo per mostrarmi che non era cattivo né pazzo... E qui, amico mio, ricomincio il mio eterno ritornello che vorrei sempre ricantare: se potessi descriverti quell'uomo quale mi era, quale mi sta ancora dinanzi! Se sapessi dirti tutto perfettamente perché tu potessi sentire come il suo destino m'interessa, e deve interessarmi! Ma basta, tu conosci la mia sorte, tu mi conosci, e sai benissimo cos'è che mi attira verso tutti gli infelici, e specialmente verso quello!
Rileggendo la mia lettera mi accorgo che ho dimenticato di raccontarti la fine della storia, che del resto s'indovina facilmente. La donna si difese: sopravvenne il fratello che da lungo tempo odiava il servo, da lungo tempo desiderava vederlo uscire dalla casa perché temeva che un nuovo matrimonio della sorella privasse dell'eredità i suoi figli, che avevano concepito delle belle speranze essendo la vedova senza figlioli. Questo fratello l'aveva immediatamente scacciato e aveva dato alla cosa tanta pubblicità che la donna, anche se avesse voluto, non avrebbe osato riprenderlo in casa. Ora aveva preso un altro servitore e si diceva che anche a causa di questo lei era in discordia con il fratello: si assicurava anzi che lo avrebbe sposato, ma il giovane era deciso a non sopportare una cosa simile.
La storia che ti narro non è esagerata, né imbellita; posso dire anzi di averla raccontata debolmente, e di averle fatto perdere la sua forza perché ho usato parole usuali e corrette.
Questo amore, questa fedeltà, questa passione non è dunque una finzione poetica: essa esiste, vive splendidamente pura in quella classe di uomini che noi chiamiamo rozzi e incolti, noi, gente così raffinata da diventare ineducata. Ti prego di leggere questa storia con raccoglimento. Io sono calmo oggi scrivendoti, e tu vedrai dalla mia calligrafia che non sono affrettato e agitato come al solito: leggi, mio caro, e pensa che questa è pure la storia del tuo amico. Sì, ecco quel che mi è successo, e che mi succederà: e io non ho la metà della forza e del coraggio che possiede quel povero infelice al quale non oso quasi paragonarmi.
- L'immaginazione è un dono divino, risposi: ho potuto pensare un istante che quelle righe fossero scritte per me... - Lei non continuò il discorso che parve dispiacerle, e io tacqui.
Certo non farà lo stesso effetto. Non so... ma col tempo penso che anche questo mi diventerà più caro.
Un canarino è volato dallo specchio sulla sua spalla.
- Ecco un nuovo amico, - ha detto prendendolo in mano - è destinato ai miei piccoli. Guardate com'è carino: se gli dò del pane, batte l'ala e becca con grazia; mi bacia anche, vedete! -
E quando avvicinò l'animaletto alla sua bocca esso premette amorosamente le dolci labbra come se avesse potuto apprezzare la beatitudine di cui godeva. - Deve baciare anche voi - disse, e spinse l'uccellino verso di me: il beccuccio passò dalla sua bocca alla mia, e le beccate erano come un soffio, un presagio di godimento d'amore. Dissi allora: il suo bacio è interessato: cerca nutrimento, e rimane scontento dopo una vana carezza. Mi mangia anche sulla bocca, aggiunse Carlotta. E gli offrì qualche briciola di pane con le labbra sulle quali sorridevano gioconde le gioie di un innocente amore.
Io volsi il viso altrove. Lei non doveva far questo; non doveva infiammare la mia immaginazione con queste visioni di celeste innocenza e di gioia; non doveva risvegliare il mio cuore dal sonno nel quale talvolta lo culla l'indifferenza della vita!
E perché no? Lei ha fiducia in me! sa come io l'amo.
Com'erano splendidi i loro rami, e sacro il ricordo dei venerandi sacerdoti che li avevano piantati da tanti anni! Il maestro spesso ricordava il nome di uno di loro che aveva appreso dal suo avo: fu senza dubbio un uomo virtuoso e sotto quegli alberi mi fu sempre sacra la sua memoria. Ebbene, il maestro aveva le lacrime agli occhi, ti assicuro, dicendomi ieri che li hanno abbattuti. Abbattuti! Mi sento impazzire, e sarei pronto a uccidere quel cane che ha vibrato il primo colpo di scure. Io che sarei capace di prendere il lutto se avessi nel mio giardino una coppia d'alberi simili a quelli, e uno dovesse morire di vecchiaia, io devo vedere una cosa simile. Pure, caro Guglielmo, c'è un compenso; vedi che cos'è il sentimento umano: tutto il villaggio è indignato, e io spero che la moglie del pastore si accorgerà dal burro, dalle uova e dagli altri segni di amicizia che di solito riceve, di aver ferito la sua parrocchia. Perché è stata lei, la moglie del nuovo pastore (il nostro vecchio è morto), una donna magra e malaticcia che ha molte ragioni di non prendere interesse a nessuno al mondo, perchè nessuno ne prende per lei. E' una pazza che si picca di essere sapiente, che si dedica allo studio del canone e lavora enormemente alla nuova riforma morale e critica del cristianesimo; si stringe nelle spalle alle fantasticherie di Lavater, la sua salute è scossa, e di conseguenza non gusta alcuna gioia su questa terra. Soltanto una creatura simile poteva esser capace di abbattere i miei alberi: vedi, non me ne posso capacitare! Figurati che le foglie cadute le insudiciavano e rendevano umido il cortile, gli alberi le toglievano la luce, e quando le noci eran mature i fanciulli vi gettavano contro delle pietre... e tutto questo le dava ai nervi, la turbava nelle profonde meditazioni durante le quali pesa e confronta Kennicot, Semler e Michaelis. Quando ho visto tutti scontenti nel villaggio, e specialmente i vecchi, ho detto loro: perché avete sopportato questo? - Se il borgomastro vuol qualche cosa, mi hanno detto, che possiamo fare noi, qui in campagna? Ma almeno qualcosa di bene è avvenuto: il borgomastro e il pastore (il quale sapeva questa volta di trar profitto dai capricci di sua moglie che di solito non rendono il suo pranzo più lauto), avevano pensato di dividersi a mezzo il guadagno; ma è intervenuto il fisco che ha detto: è roba mia, perché aveva antichi diritti sulla parte del presbiterio dove erano gli alberi, e li ha venduti all'incanto. Essi giacciono abbattutti! Oh se fossi stato principe, la moglie del pastore, il borgomastro e il fisco vedrebbero... Principe! Già, se fossi principe che m'importerebbe degli alberi del mio paese?
Di sera.
Ho tante sensazioni in me e il pensiero di lei le assorbe tutte; ho tante cose, e senza di lei tutto è nulla per me.
Ma ahimé! Dio non ci dà la pioggia e il bel tempo secondo le nostre impazienti preghiere, e i giorni di cui mi tormenta il ricordo, perché erano così felici? Perché io attendevo con pazienza che si manifestasse la volontà divina e accettavo con cuore riconoscente i benefici di cui mi colmava.
Lei parlò d'altro e non mi lasciò continuare il discorso. Caro mio, sono un uomo finito: Lei può fare di me ciò che vuole.
Ieri, quando me ne andai, mi porse la mano, e disse: - Addio, caro Werther - Caro Werther! Era la prima volta che mi chiamava CARO e questa parola mi penetrò fino al midollo delle ossa. Cento volte me la sono ripetuta, e ieri sera, mentre andavo a letto, e mormoravo mille cose piano, ho detto: Buona notte, caro Werther!, e ho dovuto ridere di me stesso.
Ero andato alla fontana verso mezzogiorno; non avevo nessuna voglia di mangiare. Tutto era deserto, un vento di ponente umido e freddo soffiava dai monti e grige nuvole di pioggia venivano dalla valle. Da lontano vidi un uomo, in un povero abito verde, che si arrampicava fra le rocce e sembrava cercare delle erbe. Quando giunsi vicino a lui, ed egli volse la testa al rumore che io feci, vidi un'interessante fisionomia di cui una tranquilla tristezza formava il carattere principale, e che esprimeva soltanto un sentimento buono; i suoi capelli neri erano fermati in due rotoli con delle forcelle; gli altri erano riuniti in una grossa treccia che gli cadeva sulle spalle. Poiché il suo abbigliamento sembrava rivelarlo di una classe inferiore, pensai che non si sarebbe offeso vedendomi attento al suo lavoro, e gli chiesi che cosa cercasse.
Mi rispose con un profondo sospiro: «cerco dei fiori, e non ne trovo alcuno. Veramente non è la stagione, dissi sorridendo. Ci sono tanti fiori, egli continuò, discendendo fino a me. Nel mio giardino ci sono delle rose e due specie di caprifogli: uno me l'ha dato mio padre; e crescono come le male erbe; da due giorni li cerco e non posso trovarli. Anche là fuori ci sono sempre fiori: gialli, azzurri, rossi e la centaura ha dei bei fiori. Non posso trovarne».
Osservai qualcosa d'inquieto nel suo viso e gli chiesi, cercando di deviare il discorso, che cosa voleva fare con quei fiori. Uno strano sorriso lo rischiarò. Non mi tradirete, disse mettendosi un dito sulla bocca: ho promesso un mazzo di fiori alla mia fidanzata. - Va benissimo, dissi. - Egli aggiunse: ha tante altre cose, è ricca. - Eppure fa conto del vostro mazzo. - Sì, continuò, lei ha tanti gioielli e una corona. - Come si chiama? - Se gli Stati Generali mi pagassero io sarei un altro uomo. C'era un tempo in cui tutto mi andava bene. Ora è finita! ora sono... E levò al cielo un umido sguardo espressivo. - Eravate dunque felice? domandai. - Oh, vorrei essere com'ero allora. Mi sentivo così bene, così allegro, mi trovavo nel mio elemento come un pesce nell'acqua. -
Enrico! gridò una vecchia che si avvicinava per il sentiero. Enrico, dove ti eri nascosto? Ti abbiamo cercato dappertutto. Vieni a tavola! - E' vostro figlio? le chiesi avvicinandomi a lei. - Sì, è il mio povero figlio, rispose. Dio mi ha dato una croce pesante da portare. - Da quanto tempo è così? domandai. - Così tranquillo, lei disse, saranno appena sei mesi; e ringrazio il Signore che almeno sia arrivato a questo; prima è stato per un anno intero furioso, e l'hanno tenuto alla catena in manicomio. Ora non fa nulla di male a nessuno: solo ha sempre da fare con imperatori e re. Era così buono, tranquillo, mi aiutava a vivere; aveva una bella scrittura. A un tratto è diventato pensieroso, è caduto in uno stato febbrile, poi nel delirio: ora è come voi lo vedete. Se potessi narrarvi, signore... -
Interruppi quel torrente di parole e domandai: - Qual è dunque il tempo che egli rammenta e nel quale dice di esser stato così felice, così contento? - Poveretto, disse con un sorriso di pietà: vuol parlare del tempo in cui era fuori di sé: ricorda sempre di quando era in manicomio e non aveva coscienza di se stesso. - Fui colpito come da un fulmine; misi del denaro nelle mani della donna, e fuggii in fretta.
Allora eri felice - esclamavo mentre rapidamente mi avviavo alla città; - allora eri come un pesce nell'acqua! Dio del cielo: questo è il destino che hai dato agli uomini: di esser felici soltanto prima di acquistare la ragione, e dopo averla perduta! Disgraziato! eppure io invidio il tuo turbamento, lo smarrirsi dei sensi nel quale tu langui. Tu esci pieno di speranza a raccogliere fiori per la tua regina, d'inverno, e ti rattristi e non puoi comprendere perché non ne trovi. E io... io esco senza speranza, senza scopo, e ritorno come sono uscito. Tu immagini quale uomo saresti se gli Stati Generali ti pagassero. Felice creatura che puoi attribuire a un ostacolo terreno la tua mancanza di felicità. Tu non senti che la tua miseria dipende dal tuo cuore distrutto, dal tuo cervello turbato, e che tutti i re della terra non possono aiutarti.
Deve morire disperato colui che deride un malato che viaggia verso lontane fonti che aumenteranno la sua malattia e renderanno più dolorosa la sua fine; colui che insulta un cuore oppresso che per liberarsi dai suoi rimorsi e metter fine ai dolori dell'anima intraprende un pellegrinaggio al santo sepolcro. Ogni passo che gli lacera i piedi per i sentieri non segnati, è una goccia di balsamo per il suo animo oppresso; ad ogni giornata di cammino il suo cuore si riposa, alleviato da molte afflizioni. E voi osate chiamare questa follia, voi, mercanti di parole adagiati sui vostri guanciali? Follia! Dio, tu vedi le mie lacrime! Dovevi tu, dopo aver creato misero l'uomo, dargli anche dei fratelli che gli rapissero il poco che possiede, e il poco di fiducia che egli ha in te, Dio d'amore! Poiché la fiducia in una pianta salutare, nel succo della vigna non è altra cosa che la fiducia in te, la persuasione che tu hai comunicato a tutto quanto ci circonda una forza che guarisce o che consola e di cui possiamo aver bisogno ad ogni istante. Padre, che io non conosco! Padre che prima riempivi la mia anima, e che ora hai distolto da me il tuo viso! chiamami a te! non rimanere più a lungo silenzioso! Il tuo silenzio non potrà trattenere quest'anima assetata! Un uomo, un padre, potrebbe forse adirarsi quando il figlio ritornando all'improvviso gli si gettasse al collo esclamando: sono tornato, padre mio! Non ti irritare se abbrevio il pellegrinaggio che secondo il tuo volere avrei dovuto ancora proseguire. Il mondo è uguale dappertutto: nella fatica e nel dolore, nella ricompensa e nella gioia: ma che m'importa? Io sto bene dove tu sei, e vicino a te voglio godere e soffrire. E tu, amato padre divino, respingeresti da te questo figlio?
- In nome di Dio, proruppi infine, andando bruscamente verso di lei, in nome di Dio, finitela! - Si fermò, e mi guardò fissamente. - Siete molto ammalato, Werther, mi disse con un sorriso che mi penetrò l'anima; i vostri cibi favoriti vi ripugnano. Andate, via, calmatevi, vi prego. - Mi sono strappato da lei e... Dio, tu vedi la mia miseria e vi porrai fine.
Che cos'è mai l'uomo, questo semidìo tanto apprezzato? Non gli mancano le forze proprio quando gli sarebbero più necessarie? E che egli prenda lo slancio nella gioia o si sprofondi nel dolore, non è forse in entrambi i casi arrestato, ricondotto al cupo, freddo sentimento di se stesso, mentre aspirava a perdersi nell'oceano dell'infinito?