Nato a Firenze il 13 aprile 1808 da una famiglia povera, Antonio Meucci non poté compiere studi regolari e cominciò a lavorare presto, prima come daziere, poi come meccanico teatrale. In teatro, tra l'altro, incontrò Ester Mochi, sarta teatrale, che sarebbe diventata più tardi sua moglie. Appassionato fin da giovane di elettricità fisiologica e animale, ma anche di politica, fu costretto per le sue idee liberali e repubblicane a lasciare il granducato di Toscana. Dopo lunghe peregrinazioni nello Stato Pontificio e nel Regno delle Due Sicilie, emigrò a Cuba, dove lavorò come meccanico teatrale e poi, dal 1850, si stabilì a New York. Qui incontrò tra l'altro Giuseppe Garibaldi (1807-1882) di cui divenne grande amico e che fu suo collaboratore, tanto che esiste oggi nella città statunitense un Museo Garibaldi-Meucci.
Anche se portava avanti i suoi studi sul telefono già da tempo tempo, l'invenzione fu completata con un primo modello solo nel 1856. «Consiste - scriveva Meucci in un appunto del 1857 - in un diaframma vibrante e in un magnete eletrizzato da un filo a spirale che lo avvolge. Vibrando, il diaframma altera la corrente del magnete. Queste alterazioni di corrente, trasmesse all'altro capo del filo, imprimono analoghe vibrazioni al diaframma ricevente e riproducono la parola». Ma a questo scienziato che aveva idee così chiare sull'invenzione mancava un elemento fondamentale: i mezzi economici per sostenere la propria attività. E a poco valse la ricerca di un finanziamento presso persone ricche in Italia, tentata tramite il suo amico E. Bendelari. A Meucci presto mancarono i soldi addirittura per la propria sussistenza e poté contare solo sull'aiuto di qualche altro emigrato italiano. Egli rimase anche vittima di un incidente su una nave e dovette restare a letto per mesi, cosicché la moglie Ester fu costretta a vendere tutte le attrezzature telefoniche a un rigattiere per soli 6 dollari. Il problema economico si ripresentò quando, nel 1871, Meucci decise di richiedere il brevetto per la propria invenzione: l'avvocato che doveva assisterlo per preparare i documenti necessari esigeva 250 dollari, molto più dei 20 che egli aveva disposizione. L'unica possibilità era ottenere un caveat, una sorta di brevetto provvisorio che andava rinnovato ogni anno al prezzo di 10 dollari, e che Meucci riuscì a pagare solo fino al 1873. In quel periodo Meucci decise anche di rivolgersi a E. Grant, vicepresidente della potente American District Telegraph Company di New York, chiedendogli di lasciargli adoperare le sue linee per gli esperimenti, e mostrandogli un'ampia documentazione sulle sue ricerche. Ma fu l'ennesimo buco nell'acqua: Grant si disinteressò dell'affare non comprendendo le potenzialità economiche dello strumento.
Gli anni successivi furono spesi in una lunga vertenza con Alexander G. Bell (1847-1922), che aveva presentato domanda di brevetto per il suo telefono nel 1876. Meucci era riuscito nel frattempo a farsi sponsorizzare dalla Globe Company, che fece causa alla Bell Company per infrazione del brevetto. La causa finì il 19 luglio 1887 con una sentenza del giudice Wallace che dava ragione a Bell, anche se riconosceva alcuni meriti a Meucci. «Nulla dimostra - recitava la sentenza - che Meucci abbia ottenuto qualche risultato pratico a parte quello di convogliare la parola meccanicamente mediante cavo. Impiegò senza dubbio un conduttore meccanico e suppose che elettrificando l'apparecchio avrebbe ottenuto risultati migliori». Ciò significa che Meucci avrebbe inventato il telefono, ma non quello elettrico.
Quando la società Globe presentò ricorso contro la sentenza, nel 1889, Meucci era morto da poco, e non ricevette perciò l'ennesima delusione, l'archiviazione del caso da parte della Corte Suprema statunitense.